Traduzione automatica e ruolo del professionista: una coesistenza possibile? – prof.sa Federica De Stefani

L’intelligenza artificiale nella traduzione è segno di declino o supporto per la professione? La risposta è nella coesistenza, non contrastando la tecnologia, ma governandola responsabilmente.
Di Federica De Stefani, docente di Fenomeni migratori e mercati illegali, Laboratorio di informatica investigativa e cybercrimes, IA applicata alle strategie di comunicazione (Classe di Laurea L-12) e IA e strumenti tecnologici applicati all’interpretazione da remoto (Classe di Laurea LM-94).
INTELLIGENZA ARTIFICIALE E TRADUZIONE
L’impiego dell’intelligenza artificiale nell’ambito delle traduzioni linguistiche è ormai diffuso e consolidato.
Strumenti come Google Translate, Reverso e DeepL rappresentano esempi di tecnologie di traduzione automatica sempre più perfezionate e frequentemente utilizzate, sia in contesti personali, sia professionali.
Questo scenario pone inevitabilmente una domanda cruciale: l’evoluzione di tali strumenti segnerà il declino della figura del traduttore professionista o, al contrario, potrà determinare una trasformazione positiva e complementare del suo ruolo?
RIVOLUZIONE POSITIVA?
I sistemi di traduzione automatica si basano, principalmente, su due approcci: da un lato, algoritmi fondati su metodi statistici, dall’altro reti neurali artificiali che cercano di replicare il funzionamento cognitivo umano.
Senza entrare nel merito tecnico, è opportuno interrogarsi sull’effettiva capacità di tali strumenti di sostituire l’attività professionale umana, non solo in termini di efficienza, ma anche rispetto alla qualità, alla correttezza e alla responsabilità del risultato finale.
OBIETTIVI DIVERSI
È indubbio che la traduzione automatica offra vantaggi in termini di rapidità e accessibilità, ma permangono numerose criticità. Ogni strumento possiede caratteristiche specifiche, condizioni d’uso peculiari e limiti di affidabilità che ne condizionano l’effettivo impiego, soprattutto in ambiti professionali.
Un primo ambito di riflessione riguarda l’opportunità del ricorso all’IA in relazione allo scopo e al contesto dell’attività traduttiva. È ben diverso, infatti, l’utilizzo personale di un traduttore automatico per tradurre una ricetta di cucina scritta in una lingua che non si padroneggia, rispetto all’impiego dello stesso strumento da parte di un traduttore professionista per finalità commerciali o editoriali, poiché in questo ultimo caso devono essere valutati aspetti etici, deontologici e contrattuali, che non possono essere trascurati.
RESPONSABILITÀ DIVERSE
Si consideri, poi, che deve essere valutata la responsabilità del traduttore (professionista) sia con riferimento all’input, ovvero al testo originario inserito e alle informazioni in esso contenute, sia all’output, ovvero alla traduzione prodotta. In tale contesto, il contratto stipulato dal traduttore con il proprio cliente assume un ruolo centrale, poiché un accordo ben strutturato può definire limiti, precauzioni, responsabilità e modalità di impiego delle tecnologie IA.
Il professionista, in ogni caso, è tenuto a conoscere approfonditamente le funzionalità della piattaforma utilizzata e a verificarne le condizioni d’uso, spesso poco trasparenti. È, altresì, indispensabile evitare l’inserimento di dati personali, informazioni confidenziali o contenuti protetti da copyright.
Ancora più rilevante è il dovere di garantire la qualità del testo finale, attraverso una revisione accurata e consapevole della traduzione prodotta automaticamente, poiché la responsabilità verso il cliente rimane in capo al traduttore stesso, salvo diversa e specifica previsione contrattuale.
UOMO VS MACCHINA: LA COESISTENZA
In conclusione, lo scenario più realistico per il futuro non appare quello di una sostituzione, bensì di una coesistenza tra IA e professionalità umana. Per quanto evoluti possano diventare gli strumenti di traduzione automatica, la supervisione umana rimarrà essenziale in contesti delicati – come quello medico o giuridico – in cui un errore di traduzione può incidere direttamente sui diritti fondamentali della persona. La sfida, pertanto, non è contrastare la tecnologia, ma governarla responsabilmente.